Tra gli esperti di storia naturale è ancora aperto il dibattito su quando e come il castagno si è diffuso ai piedi delle Alpi.
Da un lato si sostiene che sia stato portato in Europa prima dai Greci, poi dai Romani, che avevano appreso l’arte di coltivarlo in Asia Minore. Perciò nell’area ticinese sarebbe giunto circa 2.000 anni fa, quando le comunità locali adeguarono la loro cultura a quella romana.
Dall’altra parte vi sono i sostenitori di un ripopolamento (il castagno era già stato presente in epoca preglaciale) avvenuto spontaneamente tra l’800 e il 700 a.C.. In ogni caso la romanizzazione dell’area prealpina portò al diffondersi del castagno quale pianta di particolare interesse economico.
Gli antichi compatrioti di Cesare consumavano le castagne lessate o arrostite, mentre con la farina prodotta si cuoceva un pane impiegato ritualmente in certi periodi dell’anno. L’apice della diffusione del castagno fu raggiunto nel VI secolo d.C., poi l’arrivo dei Longobardi portò, soprattutto nelle aree di pianura, al prevalere di coltivazioni cerealicole.
Il Medioevo vide però estendersi l’area abitata anche alle zone montane. Vi si insediarono comunità spesso autonome, che praticavano un autogoverno imperniato sulle famiglie e che dovevano vivere in condizioni ambientali sfavorevoli, lontani dalle floride città.
La loro era un’economia di sussistenza e fu così che il castagno tornò ad essere centrale per le comunità rurali delle valli, prendendo la nomea di “pane dei poveri”, poiché impiegato con i suoi frutti e derivati per sfamare, soprattutto nel periodo invernale, le genti dei villaggi montani. Perciò le selve castanili divennero una ricchezza che andava tutelata e spesso il loro utilizzo fu oggetto di scontro tra paesi confinanti.
In Ticino la centralità del castagno nell’economia rurale iniziò a declinare tra il XVII e il XVIII secolo a causa di un raffreddamento del clima che portò alla scomparsa di numerosi esemplari. Iniziò inoltre a diffondersi la coltivazione del mais, fu così che la polenta di granturco andò a sostituire quella di castagne. Molti alberi furono abbattuti per produrre carbone o legna da ardere.
Nell’Ottocento, in Ticino, l’emigrazione e l’apertura del tunnel del San Gottardo unite al calo dei prezzi di mais e patate portarono a non vedere più le selve castanili come un bene da tutelare per l’interesse e la sopravvivenza delle comunità di montagna. Fu nella prima metà del Novecento che tornarono in auge politiche di tutela e di incentivo per la gestione delle selve castanili.
L’interesse per il castagno aumentò anche perché utilizzato per l’estrazione del tannino, necessario per l’industria conciaria.
Il sopravvento della chimica, lo spopolamento delle valli, il declino dell’agricoltura montana portarono dagli anni ’50 del Novecento a un progressivo abbandono delle selve. Ciò nonostante il castagno rappresentava alla fine del XX secolo un quinto degli alberi presenti nei boschi della Svizzera italiana.
La selva castanile di Robasacco (detta Selva Grande) è riconosciuta tra le più pregiate del Canton Ticino. Alcuni tronchi raggiungono una ragguardevole circonferenza, tra i sei e i nove metri.
Come la maggior parte delle selve è proprietà del locale Patriziato e la sua gestione avviene con la suddivisione in lotti. A Robasacco vengono assegnati ogni anno agli interessati tramite un incanto pubblico. Nel 2014 la selva castanile di Robasacco è stata riqualificata grazie a un compenso ecologico realizzato da AlpTransit.
Il prezioso sostegno finanziario di tre enti pubblici, tra cui l’ERS-BV, e di numerosi patrizi e amici del Patriziato di Robasacco ha reso possibile, nell’autunno 2015, il completamento di quest’opera. A titolo gratuito il Gruppo gestione sentieri Bellinzonese e Alto Ticino ha eseguito tutti i parapetti ed il terzo ponticello pedonale che é situato sul confine tra Sopraceneri e Sottoceneri.
Ora il percorso si mostra sicuro sia per il viandante sia per chi opera alla gestione della selva, che si presenta come un suggestivo terrazzo con la vista che spazia dal Locarnese al Bellinzonese.